giovedì 20 settembre 2012

Cammino di Santiago: viverlo per credere.

Sono davanti al computer da un’ora ormai, e ancora non riesco a trovare un incipit che si rispetti per questo post.
“Scrivi qualcosa sul Cammino di Santiago”, mi sono detta; fosse facile, mi rispondo!
Potrei raccontarvi delle tappe percorse, con i monumenti e le città che abbiamo visto; oppure potrei parlare dei miei preparativi per il viaggio; o, ancora, potrei lasciarvi col fiato sospeso mentre vi descrivo le peripezie che abbiamo affrontato.
Già, potrei. Ma non lo farò.
Non lo farò perché sarebbe inutile, non riuscirei a farvi capire tutto ciò che ho – anzi, abbiamo –  provato in questa esperienza. Vi parlerò, invece, di quello che mi è rimasto una volta tornata a casa, partendo da delle semplici parole.

Amicizia. Quei giorni passati insieme mi hanno fatto scoprire la bellezza e la profondità di certe persone che conoscevo da una vita, ma che non avevo mai incontrato realmente; il clima di totale condivisione, fiducia e affidamento che si era creato tra noi sia dai primi giorni era incredibile, penso che da sola non sarei riuscita nemmeno ad arrivare alla fine della prima tappa.

Superfluo. il Cammino mi ha insegnato a fare a meno di ciò che non è necessario: serve leggerezza prima di tutto. Una leggerezza fisica, perché nello zaino non bisogna infilare zavorre inutili, ma anche spirituale: nel percorso ci si libera dei pensieri più tristi e pesanti, si pensa a camminare, ad andare avanti, ad essere forti per se stessi e per i propri compagni di viaggio; anche nel silenzio i problemi sono messi in comune e, condivisi, sono più leggeri.

Incontro. Camminando ci siamo imbattuti in moltissime persone, pellegrini e non, che però sembravano avere qualcosa in comune: il sorriso. Incrociarsi significava incontrarsi, e l’incontro è sempre un momento di gioia e di scambio, sia questo un saluto, uno sguardo, un augurio o un sorriso. Ma l’incontro non è solo esteriore: nei momenti di silenzio si è obbligati a guardarsi dentro e a incontrarsi/scontrarsi con quei lati di noi stessi che proprio non ci vanno giù… insomma, non è sempre facile!

Fatica. Uno dei punti di forza del Cammino, direi. La fatica si mette sempre in conto, prima di partire; ci si aspetta di sudare, avere mal di schiena, mal di gambe, vesciche ai piedi… Tutte cose che capitano, è un dato di fatto. Ma senza questi “intoppi”, che Cammino sarebbe? La fatica e le difficoltà aiutano a crescere, a capire i propri problemi e a risolverli, siano causati da scarpe troppo dure, da uno zaino troppo pesante o da un nostro atteggiamento sbagliato e dannoso.

Fede. Credo sia la parola più bella, ma anche la più difficile, che racchiude un po’ tutte le precedenti. Il Cammino è stato un’occasione per crescere spiritualmente, leggendo la Parola di Dio ogni giorno e meditando insieme sull’amore e sulla gioia del credere in Lui. Un percorso di questo tipo, basato sulla fatica, sugli incontri e sull’amicizia, sarebbe vuoto se non fosse costruito sulle solide basi di una Fede profonda in Qualcuno di grande, che unisce le nostre vie e le nostre vite, rendendoci fratelli e compagni. La mia fede spesso è stata traballante, e lo è tuttora: sono umana, non sono perfetta. Ma parlare liberamente delle mie paure con gli altri e avere ogni giorno la possibilità di confrontarmi con Gesù nel Vangelo mi ha dato l’opportunità di capire che affidarsi a Lui è bello, gioioso, non deve farmi temere per il mio futuro: Fede è Fiducia. 

Concludo qui la mia testimonianza, sperando di essere riuscita a descrivere almeno un pochino la bellezza di questa esperienza. “Ma non hai parlato del vostro arrivo a destinazione, a Santiago!”, potreste dirmi.
Avete ragione, ma non l’ho fatto perché ho scoperto che la meta non è il punto di arrivo: “la meta è il Cammino”.


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